* di Gianmario Gobbi
Don Nino, perché a nessuno, tra quanti l’hanno minimamente conosciuto in diocesi, è venuto mai di chiamarlo Mons. Bassano Staffieri, l’ho incontrato, per la prima volta, tantissimi anni fa, nel 1962, il mio primo giorno di scuola alle superiori. Con l’organico dei docenti ancora incompleto, furono assegnate a lui le prime due ore di scuola in quella prima. Non fece lezione, ma due ore di chiacchierata per conoscerci, per informarsi da quali parrocchie venivamo, quali le nostre aspettative verso la scuola, verso la vita. La prima impressione di tutti fu: simpatico, sempre sorridente e…magro come un chiodo. Qualche settimana dopo mi fermò in corridoio, durante l’intervallo, per propormi di partecipare agli incontri del Movimento Studenti che si tenevano ogni sabato pomeriggio alla Casa della Gioventù. Non sapevo cosa fosse il Movimento Studenti, non ero mai stato alla Casa della Gioventù, mi bastavano gli impegni in parrocchia e non avevo nessuna voglia di avere occupato il sabato pomeriggio. Anticipò la mia risposta negativa con una proposta che mi spiazzò : “Ho un’idea : pranziamo insieme sabato a mezzogiorno alla mensa della Casa della Gioventù, parliamo un po’, poi decidi”. Così mi ritrovai, qualche giorno dopo nel seminterrato della Casa, a un tavolino di formica da un metro per un metro, a pranzo con Don Nino. Per lui l’immancabile pastina e intorno al piatto una mini corona di medicine, pastiglie, gocce e confetti (“Eredità della mensa del seminario!” spiegò sorridendo). Non occorre dire che finii con l’accettare. Un paio di anni dopo, alla fine di un altro pranzo dello stesso tipo, compreso pastina e medicine, mi propose l’impegno nella Giac di cui era Assistente. Fu, accanto a lui, un’esperienza bellissima di cui mantengo un sacco di ricordi. Le riunioni di consiglio fatte di preghiera, riflessione e risate per le bonarie prese in giro tra lui e Don Antonio Acerbi a cui fu sempre molto legato. Spesso andavamo ad incontrare qualche associazione parrocchiale, a volte con la sua Fiat 600 blu, più spesso con una macchina a noleggio con autista. Una sera, una di quelle sere con nebbia terribile come capitava una volta, mentre andavamo a Paullo, in una curva a 90 gradi, andammo “diritto”. Fortuna (o altro?) volle che infilassimo giusto giusto il ponticello che superava il piccolo fossato e ci fermammo nel prato. Dopo un attimo di stupore e un po’ di spavento, l’autista disse che qualche santo ci aveva aiutato. Don Nino commentò: “Beh, mica siamo in giro per divertimento, è giusto che anche Lui (indicando in alto con il dito) faccia la sua parte.” Importante per la maturazione della fede, ma anche per le scelte fondamentali della vita, per me come per tanti altri, fu la testimonianza di amore per la Chiesa da lui ricevuta. Lo sforzo di educarci al senso di appartenenza, concreto, a questa grande Famiglia, con tutto ciò che ne deriva: l’entusiasmo, in quegli anni, per l’aria nuova del Concilio, la sofferenza e la tristezza per le contraddizioni e gli errori che ne segnano l’esperienza e di cui anche ognuno di noi è responsabile, ma, soprattutto, la gioia di una vita guidata dal Signore.
Nel 1968 lasciò Casa della Gioventù e Giac perché fu nominato rettore del Collegio Vescovile. Io di lì a poco sarei partito per il militare, poi il matrimonio. La frequentazione non fu più così assidua, qualche telefonata, una chiacchierata quando ci si trovava per strada, alcuni momenti di preghiera o di riflessione da lui guidati. Poi una sera mi telefonò a casa dicendo che aveva bisogno di parlare con me e mia moglie Tina. L’invitammo a cena da noi (“Ti ricordi che mangio poco e cose leggere?” “Tranquillo Don Nino!”). Fu una piacevole serata, vivacizzata dai bambini piccoli, perfettamente a loro agio con quel prete che sorrideva sempre. Alla fine ci chiese di collaborare con lui e altri amici al Centro per la Famiglia e di tenere due degli incontri dei “Corsi per i Fidanzati”. Obbiettammo subito che non ci sentivamo all’altezza, che non eravamo in grado, che non avremmo saputo cosa dire. Lui guardò noi, i nostri figli, si guardò intorno e rispose: “Basta che raccontiate quanto siete felici di volervi bene, come è straordinario essere famiglia, quale dono grande sono i figli, come, a volte, può essere anche faticoso amarsi, ma non per questo meno stupendo e l’aiuto che vi da il Signore per portare avanti tutto questo.” Per una decina d’anni collaborammo con lui, con il dott. Bertolotti, con Carlo Dacco’, altri due con il “vizio” della passione per la Chiesa e dei quali Don Nino fu amico fraterno, e tanti altri al Centro per la Famiglia, approfondendo la conoscenza e l’amicizia. Ai corsi per i fidanzati, Don Nino presenziava a tutti gli incontri, anche se era relatore in uno solo. Sempre pronto ad accogliere, a mettere a proprio agio, ad ascoltare, a rispondere a tutti. Scoprii presto una sua particolarissima quanto rara qualità, quella di saper guardare “dentro” alle persone. Più di una volta, mentre a piedi lo accompagnavo a casa in vescovado, verso la fine di qualche corso, mi diceva, serio e un po’ scuro in volto come raramente gli capitava: “Hai presente quella coppia in fondo, lei con il golfino rosa, lui con il pullover a righe? Secondo me hanno qualche problema, ho il loro numero di telefono, li chiamerò per una chiacchierata”. Arrivava a questo semplicemente osservando qualche loro piccolo segno di disagio, qualche borbottio, qualche domanda posta o osservazione fatta. Quasi sempre ci azzeccava.
Qualche coppia, dopo queste chiacchierate, non si è sposata. “Meglio così” commentava con un po’ di tristezza, ma anche con sollievo Don Nino.
La nomina a sotto segretario della Cei, nel 1987, con il conseguente spostamento a Roma, ovviamente volle dire incontrarci raramente, ma quando tornava a Lodi telefonava sempre e, compatibilmente con i suoi impegni, veniva volentieri a pranzo o a cena. Alla fine della serata, congedandosi, immancabilmente ci invitava ad andarlo a trovare a Roma, ci avrebbe fatto visitare anche quella parte di Giardini del Vaticano preclusi al pubblico. Muoversi con quattro bambini era un po’ complicato. Non ci siamo mai riusciti.
Nel 1989 fu nominato vescovo a Carpi, nel 1999 a La Spezia. Le occasioni di incontro si diradarono ulteriormente. Di tanto in tanto una visita, con Tina o con qualche amico, per una bella chiacchierata. Ci raccontava qualche aneddoto della sue esperienza episcopale, chiedeva notizie dei tanti amici di Lodi. Sempre un suo biglietto non di formali e frettolosi auguri, ma più articolato, a Pasqua e Natale, qualche telefonata, preziosissima quella qualche giorno dopo la morte di Tina. Andava bene così. A una certa età non si hanno più tante parole da dire, solo l’essenziale, come il rinnovare la promessa reciproca di un ricordo nella preghiera.
Ero in montagna quando una telefonata mi ha avvisato della sua morte. Tenevo per mano mia nipote di cinque anni, alla fine di una passeggiata. Rimasi in silenzio per un po’. “Nonno perché sei triste?” “Perché ho saputo che è morto un mio amico” “Allora è in cielo, magari incontra la nonna Tina. E’ in un posto bello!” Mi è passata per la mente l’immagine del Banchetto Nuziale con gli angeli che servono cibi succulenti e Tina che richiama l’attenzione di uno di essi: “Per Don Nino, una pastina, per favore. Mezza porzione” e lui che le sorride grato. “Si Susanna, certamente avrà incontrato anche la nonna Tina, in un posto bellissimo!”
E mi è un poco passato il magone che mi era venuto.