L’universalità della Chiesa in dialogo con la vita dei giovani
Al Sinodo dei vescovi su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” c’è anche un po’ di Chiesa lodigiana. Il ventottenne Gioele Anni partecipa infatti ai lavori sinodali in qualità di uditore per il Settore Giovani dell’Azione Cattolica Italiana. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per condividere questo importante momento di ascolto per i giovani e la Chiesa.
Gioele, dopo i primi giorni di lavoro del Sinodo, quali sono le tematiche che emergono e ritornano maggiormente nei vari interventi?
In questa prima fase stiamo lavorando sul tema del riconoscere, operando una lettura della realtà giovanile. Le declinazioni dei veri temi sono tante quante le realtà qui presenti; è l’universalità del Sinodo, data da una molteplicità di approcci e istanze differenti, ma il filo rosso che mi sembra emergere è quello del voler ascoltare i giovani. Tutti in questi giorni stanno affermando l’importanza di questo ascolto nella concretezza della vita dei giovani, e credo che un passaggio che si sta iniziando a fare è chiedersi più concretamente cosa significa ascoltare davvero i giovani oggi. Nel Sinodo c’è la consapevolezza che nel nostro tempo, nelle regioni del mondo a maggioranza cattolica, la maggior parte dei giovani non passa più ordinariamente dalle esperienze proposte dalla Chiesa. Ci vogliono quindi nuovi ponti per incontrare i giovani, sia nell’informalità che nei momenti di svolta della vita (la scelta dello studio, la ricerca del lavoro, per dirne alcuni).
In merito a questi passaggi cruciali della vita dei giovani, per quanto riguarda le tematiche strettamente sociali, ti sembra che il Sinodo stia compiendo una messa a fuoco più mirata? Il Papa nel discorso iniziale ha parlato infatti anche di precarietà e di esclusione sociale. Ci sono esperienze e storie che sono state condivise in questo senso, per capire come la Chiesa ascolta o potrebbe ascoltare i giovani che la società marginalizza?
La parte relativa alle scelte pastorali sarà in una fase più avanzata. Il Papa ha però fatto un intervento nella fase di confronto libero nella restituzione generale in plenaria. Ha sottolineato, a partire dalla sollecitazione di un vescovo sudamericano, che oggi più che mai la Chiesa nei confronti dei giovani deve dare concretezza al messaggio evangelico che “la pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo”. Nell’ascolto è urgente che i giovani più ai margini siano invece privilegiati.
Hai fatto riferimento alle varie fasi del Sinodo. Ci puoi delineare come si strutturano i lavori, per aiutarci a capire a che punto siamo e qual è la direzione?
Si lavora sul testo dell’Instrumentum laboris. Le tre parti sono riconoscere, centrata sull’ascolto e l’analisi della realtà, interpretare, ovvero ciò che la Chiesa deduce alla luce del Vangelo, e scegliere, cioè definire le proposte pastorali. Ogni fase è divisa in due. Prima quattro riunioni in plenaria durante le quali i padri sinodali e gli uditori intervengono descrivendo le varie realtà nazionali e illustrando le diverse sensibilità. Poi ci si divide in gruppi linguistici (di circa 15-20 persone) rimanendo sulla porzione di testo affrontata, proponendo osservazioni puntuali e modifiche per ciascun punto dell’Instrumentum laboris. Nel mio gruppo, in cui sono presenti padri sinodali di area italiana e dell’Europa dell’Est, molto dibattuto rispetto all’analisi della realtà è il tema delle migrazioni; come integrare e includere i giovani nei nostri percorsi ordinari e nella società, sapendo che il fenomeno migratorio va gestito sempre con prudenza, come dice anche il Papa.
Un tema di stretta attualità. In questa fase storica, a livello geopolitico, l’Italia e alcuni paesi dell’Est Europa stanno prendendo una via di chiusura verso i migranti. Che riflessione pastorale possiamo fare, a fronte anche di un rifarsi, in modo superficiale e strumentale, ai valori e alle radici cristiane?
Mi ha colpito moltissimo l’intervento di un vescovo del Nord Africa, che è nel mio gruppo linguistico. Ci ha portato a riflettere sul tema dell’immigrazione guardandolo dall’altra faccia della medaglia, quella che noi non vediamo. In Tunisia non c’è guerra, e la migrazione avviene essenzialmente per motivi economici. Molti giovani tunisini sono attratti da un benessere economico di cui molte volte non trovano poi riscontro. Fermo restando che dal punto di vista della Chiesa, anche in ottica pastorale, tutti mettiamo al primo posto il benessere della persona, e che non vi sono dubbi che occorra fare tutto il possibile affinché non vi siano più morti nel Mediterraneo, questi giorni mi aiutano a capire quanto sia complessa la questione migratoria, e l’universalità del Sinodo permette di avere una prospettiva più ampia, che va contro le semplificazioni che invece offre la politica. Anche il Papa lo ha affermato; un’accoglienza senza limiti non è sostenibile. La risposta alla politica che semplifica non può essere quella di dire “accogliamo tutti” o “non accogliamo nessuno”.
Tu ti intendi di dinamiche comunicative. Come ti sembra che venga seguito dall’esterno il Sinodo rispetto anche ai lavori di quello dedicato alla famiglia, che aveva visto un dibattito particolarmente vivace sui giornali? Ti sembra che questo Sinodo sia seguito soprattutto da chi è più vicino alle dinamiche ecclesiali o che ci sia un coinvolgimento più generale?
Mi sembra che questo Sinodo sia un po’ più sotto traccia. In merito alla famiglia si sapeva che si sarebbero dovuti esprimere orientamenti pastorali su alcuni temi sensibili. Però stando qui mi rendo conto che le scelte che si prenderanno sono il frutto di un percorso lungo e articolato di confronto e dialogo. Ad esempio, sono già emersi dagli interventi in aula i temi dell’affettività e della sessualità. Mi sembra che un certo tipo di narrazione miri a presentare il Sinodo come l’occasione per un cambiamento nella dottrina morale della Chiesa, mentre invece il processo è diametralmente inverso. La riflessione sulla condizione dei giovani porta ad evidenziare alcune tematiche, sui cui ci si confronta e sui cui poi alla fine del discernimento si diranno alcune parole. Non sono le questioni giornalistiche a influenzare il discernimento, ma è quest’ultimo che fa convergere su alcuni punti. Nel mio gruppo è poi emerso chiaramente come un Sinodo sui giovani è un Sinodo sulla Chiesa giovane, e potenzialmente le conclusioni potrebbero forse avere implicazioni della stessa portata del Sinodo sulla famiglia, anche se l’attenzione mediatica è minore. Ma parlare di giovani e fede significa parlare di cosa significa oggi essere Chiesa nel mondo; perché tra dieci anni i giovani di oggi saranno i genitori del futuro.
In merito invece alla tua esperienza personale, al tuo essere presente al Sinodo, c’è qualche passaggio che desideri condividere? Cosa significa per il tuo cammino di fede partecipare a questo momento di Chiesa?
È un’esperienza che da un lato ti fa toccare con mano la grandezza e la vastità della Chiesa e quanto essa sia significativa in alcune aree del mondo in cui non ce lo aspetteremmo. Mi ha molto colpito l’intervento del patriarca di Babilonia dei Caldei in Iraq, Card. Louis Raphaël I Sako, che ha raccontato di come, quando l’Isis devastò i loro territori, quello che li ha salvati è stata la celebrazione della fede, il ritrovarsi periodicamente attorno all’Eucaristia. Personalmente il Sinodo mi mette molto in discussione, sia per la responsabilità affidata, sia per il desiderio di far sentire la voce dei giovani, che è il motivo per cui sono qui. Ci vuole anche un tempo per il silenzio e la preghiera, per trovare le parole giuste per gli interventi. La dinamica è sempre molto coinvolgente, e nei gruppi c’è la giusta dose di informalità.
Puoi dirci qualcosa in merito ai tuoi interventi, se sono centrati su ciò che l’Azione Cattolica può offrire in termini di riflessione pastorale? Come l’Ac è interpellata dalla dinamica del Sinodo, anche in vista del futuro?
Riguardo ai primi giorni sul riconoscere, credo che i miei interventi all’interno del gruppo linguistico italiano siano riusciti a portare ciò che mi deriva dalla dimensione popolare dell’Ac, uno sguardo sulla realtà giovanile che non faccia distinzioni tra giovani che sono “dentro” e giovani che sono “fuori” dalla Chiesa. La percezione comune a tutti i giovani, anche se talvolta nascosta dietro al rifiuto della Chiesa istituzione, è quella di un bisogno forte di spiritualità. Per questo occorre che la Chiesa sappia mettersi al fianco di tutti i giovani, sena giudicarli prima di conoscerli. Rispetto ai prossimi passaggi dovrei intervenire nella terza parte, sulle prospettive pastorali, e vorrei concentrarmi sul protagonismo dei giovani nella Chiesa, dicendo che i giovani sono attratti quando incontrano una testimonianza di Chiesa credibile e sono coinvolti da una Chiesa che gli chieda di mettersi in gioco, ma senza personalismi, senza volersi porre come gli unici in grado di risolvere tutti i problemi. Una Chiesa in cui tutti i giovani trovano spazio è una Chiesa in cui il primo valore è quello dello stare insieme.
È quello che afferma anche Papa Francesco, quando nel suo discorso introduttivo tratta dell’importanza del dialogo tra generazioni.
Oltre al tema dell’ascolto, anche quello dell’intergenerazionalità sta infatti emergendo in modo molto evidente in tutta questa prima fase.
Gioele, grazie per il tuo contributo al Sinodo e per la tua condivisione con noi in merito ai contenuti, ma grazie anche per averci fatto percepire il clima che si respira quando la Chiesa si mette in ascolto dello Spirito, nel discernimento ecclesiale.
Grazie a voi per l’accompagnamento in questo cammino.
Intervista a cura di Simone Majocchi