In ascolto della Parola per approfondire il modo in cui Dio “lavora”, a servizio dell’uomo

Ott 23, 2017 | 0 commenti

di don Antonello Martinenghi * 

La Sacra Scrittura ci dice una cosa, a prima vista un po’ strana: ci dice che Dio lavora. “Dio concluse il suo lavoro che aveva fatto” (Gen2,2).

La Bibbia parla di un “lavoro di Dio” anche se evidentemente è una metafora, un modo di dire. La Bibbia non ha paura a parlare di Dio come “uno che lavora”. Se leggiamo le prime pagine del libro della Genesi che ci parla delle origini del mondo, possiamo scoprire e capire l’oggetto del lavoro di Dio: la terra, la creazione, le cose, la vegetazione, l’uomo, la vita. Noi stessi siamo l’oggetto di questo lavoro meraviglioso di Dio. Siamo il frutto del lavoro di Dio.

Potremmo poi chiederc:i ma se Dio lavora, come lavora? Quali sono le caratteristiche del lavoro di Dio? E il libro della Genesi ci risponderà che il lavoro di Dio è un lavoro libero che egli compie liberamente per esprimere se stesso; che è un lavoro creativo, ricco di inventiva e di fantasia ed è un lavoro che gli dà soddisfazione. (“E Dio che vide che era cosa buona”…).

Allora noi cristiani che ci ispiriamo alla Parola di Dio rivelata nella Bibbia, possiamo tranquillamente concludere che se l’uomo è fatto ad immagine di Dio, anche il lavoro dell’uomo è fatto ad immagine del lavoro di Dio. Ne viene che il lavoro dell’uomo nel disegno di Dio è destinato ad essere anch’esso un lavoro libero, spontaneo e creativo, che dà soddisfazione a chi lo fa, un lavoro in cui, chi lo compie, esprime se stesso e trova gioia nell’esprimersi attraverso il suo lavoro.

Questa realtà così bella del lavoro di Dio e del lavoro dell’uomo nel disegno di Dio si trova però a fare i conti con la drammatica realtà del peccato: il lavoro umano viene vissuto nella realtà storica del peccato. È la realtà che tutti conosciamo e che si potrebbe definire con alcune caratteristiche opposte a quelle volute da Dio e che ci sono state ricordate nel libro della Genesi.

Il lavoro spesso non è libero e anche se non è più imposto dalla schiavitù (ma in alcune parti del mondo purtroppo la schiavitù esiste ancora…); il lavoro è sovente imposto dalle circostanze e dalle situazioni che non possiamo ne calcolare ne programmare, quindi il lavoro talora è imposto contro la volontà, contro le attitudini e può diventare causa di disagio e non di gioia.

Il lavoro che abbiamo tra le mani è, sovente, tale che invece di essere creativo, capace di esprimerci, ci obbliga alla monotonia, alla fatica, alla ripetizione. Il disagio della fatica fisica e psicologica che il lavoro produce ci toglie spesso quella soddisfazione che si può e si dovrebbe avere davanti all’opera compiuta, al lavoro finito. Anzi, nella società attuale non di rado non vediamo tra le nostre mani il frutto del nostro lavoro, non lo abbiamo davanti a noi. Non possiamo dire: “Ecco che ho prodotto una cosa buona” perché la cosa prodotta ci sfugge.

In conclusione sembra che il disegno di Dio sul lavoro umano venga smentito dalla realtà: nelle nostre mani il lavoro diventa fatica, sofferenza e peso, Talora ne parliamo come di una “condanna”.

In questa realtà umana segnata dal peccato e che segna anche la realtà del lavoro, per noi cristiani entra prepotentemente in gioco la Redenzione, la salvezza operata da Gesù, il Figlio di Dio, il figlio del carpentiere. Rendere il lavoro umano sempre più vicino al disegno di Dio, sottomesso alla persona umana, che sia espressivo dell’uomo, di cui l’uomo possa godere ed esserne realmente soddisfatto.

Questo che può sembrare un sogno, in realtà è una lunga strada, un lungo cammino, da percorrere. Strada difficile sulla quale alcuni obiettivi sembrano raggiunti (per esempio diminuendo la fatica del lavoro fisico) ma strada sulla quale si cade in tante difficoltà, (per esempio la monotonia, la ripetizione, l’anonimato del lavoro).

Bisogna ripensare il lavoro per lavorare meglio e renderlo espressione della libertà e della dignità dell’uomo e della donna che creano qualche cosa di vero e di buono. Un tratto del cammino è stato sicuramente fatto (non in tutte le parti del mondo…) ma il cammino che resta da fare ci chiede di ripensare il modello di società, il nostro modo di vivere e di voler godere dei beni del mondo e di consumare le cose del mondo. Si tratta di mettere i valori dell’uomo al primo posto prima delle soddisfazioni immediate, del profitto, del consumo per il consumo, prima di tutte quelle cose che sono una minaccia di degrado complessivo della nostra società. I cristiani non possono camminare tristemente come se le cose non dovessero cambiare mai e, d’altro canto, neanche illudersi di raggiungere tali obiettivi per un miracolo che venga da chissà dove.  Ai cristiani con la loro speranza, il loro coraggio, la loro fede, insieme a tutti gli uomini di buona volontà è affidato questo cammino per fare del loro lavoro uno strumento di redenzione per il mondo.    

*direttore Ufficio diocesano MIGRANTES

 

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