di Paolo Bustaffa *
Si cammina in punta di piedi o, meglio, in punta di anima, lungo la strada di Paolo VI e così si avverte che nel ritmo dei passi di quel viandante c’è il ritmo dei passi di Dio.
1° passo la chiesa
Noi parliamo spesso e giustamente di Chiesa comunione e missione. Facciamo più fatica a dire che Mistero è la Chiesa. Eppure se non partiamo da qui rischiamo di smarrire il senso più profondo e – come si dice oggi generativo – delle altre due parole. Paolo VI con la Ecclesiam suam (“discorso della corona”) illumina la strada che entra nella Chiesa mistero: indica un cammino interiore che porta all’incontro con il Signore presente nella Chiesa in cammino, nella Chiesa in uscita. Una strada dove la fede e l’intelligenza si sostengono nella ricerca di Colui che un giorno incontreranno e vedranno in piena luce. In quel giorno il mistero si svelerà ha ricordato Paolo VI agli studenti incontrati nel 1965 (cfr. 3° passo) . Ed è da questa consapevolezza che Paolo VI trasse le ragioni e la forza per la sua opera di riformatore della Chiesa.
- Sappiamo bene che questo è mistero. È il mistero della Chiesa. Che se noi in tale mistero, con l’aiuto di Dio, fisseremo lo sguardo dell’anima, molti benefici spirituali conseguiremo, quelli appunto di cui noi crediamo abbia ora maggior bisogno la Chiesa (…). È infatti la coscienza del mistero della Chiesa un fatto di fede matura e vissuta. Essa produce nelle anime quel «senso della Chiesa», che pervade il cristiano cresciuto alla scuola della divina parola, alimentato dalla grazia dei sacramenti e dalle ineffabili ispirazioni del Paraclito, allenato alla pratica delle virtù evangeliche, imbevuto dalla cultura e dalla conversazione della comunità ecclesiastica, e profondamente lieto di sentirsi rivestito di quel regale sacerdozio, ch’è proprio del popolo di Dio. (25)
- Il mistero della Chiesa non è semplice oggetto di conoscenza teologica, dev’essere un fatto vissuto, in cui ancora prima d’una sua chiara nozione l’anima fedele può avere quasi connaturata esperienza (…) Le immagini non bastano a tradurre in concetti a noi accessibili la realtà e la profondità d’un tale mistero; ma di una specialmente, dopo quella ricordata del Corpo Mistico suggerita dall’apostolo Paolo, dovremo avere memoria, perché suggerita da Cristo stesso, quella dell’edificio di cui egli è l’architetto e il costruttore, fondato, sì, su di un uomo naturalmente fragile, ma da lui trasformato miracolosamente in solida pietra.
Lettera enciclica “Ecclesiam suam” – 6 agosto 1964
2° passo il pensiero
E’ un tema appassionante quello del pensiero in Paolo VI. Un esercizio intellettuale, un movimento della coscienza che parte da una convinzione profonda: quella che ognuno/a di noi è stato pensato/a da Dio. Tutti – sembra dire papa Montini – eravamo da sempre e quindi siamo anche oggi nel pensiero di Dio, il suo pensiero diventa un atto di amore. Il nostro pensare è chiamato a essere un atto di amore per la Chiesa e per il mondo .
Ricordate le parole di uno dei vostri grandi amici, sant’Agostino: “Cerchiamo con il desiderio di trovare, e troviamo con il desiderio di cercare ancora”. Felici coloro che, possedendo la verità, la continuano a cercare per rinnovarla, per approfondirla, per donarla agli altri. Felici coloro che, non avendola trovata, camminano verso essa con cuore sincero: che essi cerchino la luce del domani con la luce d’oggi, fino alla pienezza della luce!
(…). Forse mai, grazie a Dio, è apparsa così bene come oggi la possibilità d’un accordo profondo fra la vera scienza e la vera fede, l’una e l’altra a servizio dell’unica verità. Non impedite questo prezioso incontro! Abbiate fiducia nella fede, questa grande amica dell’intelligenza! Rischiaratevi alla sua luce per afferrare la verità, tutta la verità!
Messaggio agli uomini di pensiero e di scienza 8 dicembre 1965 – Chiusura Concilio
3° passo i giovani
Tra i mille messaggi di Paolo VI ai giovani ce n’è uno che non è tra quelli più noti ma che lascia intravvedere lo sguardo di un papa educatore. Un papa che esprime la responsabilità e l’intelligenza dell’amore di un padre e di una madre nei confronti dei figli ai quali entrambi – pur con tonalità diverse – indicano la strada della felicità e dicono che una meta grande e bella si raggiunge con la volontà di superare le difficoltà, con la capacità di scegliere la direzione quando si giunge ai bivi della vita, con il desiderio di camminare con altri, a partire da Dio
Che cosa vi dice il Papa? Vi dice di «tenere gli occhi aperti». E tanti di voi mi potrebbero rispondere: «Ma li abbiamo». E io vi dico che bisogna tenerli aperti in una maniera ancora più intelligente, ancora più esperta, ancora migliore. Ho conosciuto tanti ragazzi, sapete — ma voi siete molto più bravi di quelli che ho conosciuto io —, i quali, si direbbe, vivevano ad occhi chiusi: non si accorgevano di niente di quello che stava dintorno. Non avevano nessuna visione, nessuna idea, sopra il panorama della città, della vita, dei problemi moderni, e così via. Non avevano la capacità di capire le cose.
Tenete gli occhi aperti! Guardate! Che cosa vuol dire intelligente? Intus legere, leggere dentro. Bisogna essere capaci di leggere dentro le cose, non soltanto il loro aspetto esterno, non soltanto la faccia esteriore, ma dentro. E allora sappiate che avete una grande vocazione davanti oh giovani! Quella di rifare… come dire: l’alleanza? L’amicizia? La concordia? L’armonia fra il mondo esteriore della meccanica, dell’industria e il mondo superiore della vita del pensiero, della vita spirituale, e della vita religiosa? Sì. E voi lo potete! Ecco perché vi dico: tenete gli occhi aperti.
Voi conoscete i raggi che entrano e passano attraverso i corpi opachi. La vostra anima intelligente deve essere qualcosa di simile: leggere, attraverso l’opacità delle cose, quello che c’è dentro, quello che c’è sotto; troverete un mondo ancora più meraviglioso di quello che i vostri sensi vi presentano. Il mondo del mistero, il mondo sconfinato della realtà che non possiamo misurare, ma che ci viene incontro e che ci dice una parola che non avremmo mai potuto aspettare: chi è quel Dio che sta dietro questo schermo? Mistero!
Visita alle Scuole cristiane, 3 marzo 1965
4° passo l’Europa
Paolo VI ha respirato aria d’Europa in famiglia con il fratello Ludovico senatore e rappresentante d’Italia al Parlamento europeo. Ha respirato aria d’Europa con Pio XII (nell’immane tragedia della seconda guerra mondiale) e Giovanni XIII Nunzio apostolico in Bulgaria e in Francia), con gli intellettuali che incontrava di diversi Paesi e anche con i giovani ai quali indicava nella casa comune europea un luogo di speranza e di fraternità tra i popoli. Ma anche Paolo VI richiamava all’Europa il compito di non smarrire la sua anima, di non recidere le sue radici cristiane.
Pur riconoscendo che i reciproci vantaggi materiali possono favorire i legami d’ordine spirituale, voi giovani dovete non stancarvi di riaffermare la preminenza dei principii ideali, se volete che la causa della unione europea non si arrenda di fronte agli ostacoli concreti e non subisca le stesse fluttuazioni della congiuntura economica. In altre parole, l’unione in campo economico quale finora si sta perseguendo, costituisce certamente una base insostituibile, non impegna però che una parte degli sforzi che si devono compiere per arrivare ad una unione piena ed operante.
Questa suppone la diffusione di una atmosfera serena e cordiale nei reciproci rapporti, improntata ad un vivo senso di giustizia, di comprensione, di lealtà, di rispetto e specialmente di amore fraterno. Solo così si darà all’idea dell’Europa unita la sua ricchezza spirituale e la sua forza morale, e si accetteranno consapevolmente tutte le conseguenze pratiche ed onerose che questa unione comporta, superando la tentazione di raccogliere solo i benefici senza addossarsi anche i rischi della solidarietà, di cedere a sentimenti egoistici e di mortificare le peculiarità culturali di ciascun popolo, le quali devono essere invece rispettate ed avvalorate, perché ogni cultura è apportatrice di valori originali, e tutte quindi dovranno arricchire il patrimonio comunque della Europa unita.
Centro Giovane Europa – 8 settembre 1965
5° passo la pace
Quando un uomo dal fisico esile e dalla voce pacata alza i toni del suo intervenire significa che la sua anima è attraversata da vibrazioni profonde. In diverse occasioni Paolo VI alzò la voce, quando questo accadde nel 1965 nell’aula della sede Onu ci fu un grande silenzio, la coscienza del mondo si sentì scossa. Accadde anche a Bogotà nel 1968 quando difese i diritti dei campesinos, a Ginevra quando espresse solidarietà ai lavoratori nella sede dell’Oil (1969). E poi nelle innumerevoli iniziative per la pace in Vietnam, Nigeria, Pakistan Medio Oriente, nei viaggi apostolici in America latina, Africa, India, Medio Oriente, fino alla istituzione della Giornata Mondiale della pace il 1° gennaio di ogni anno a partire dal 1968
Vi sarete accorti, Fratelli veneratissimi e Figli carissimi, quanto spesso la Nostra parola ripeta considerazioni ed esortazioni circa il tema della Pace; non lo facciamo per cedere ad una facile abitudine, ovvero per servirCi di argomento di pura attualità;
(…)
– lo facciamo perché negli ultimi anni della storia del nostro secolo è finalmente emerso chiarissimo la pace essere l’unica e vera linea dell’umano progresso (non le tensioni di ambiziosi nazionalismi, non le conquiste violente, non le repressioni apportatrici di falso ordine civile);
– lo facciamo perché la pace è nel genio della religione cristiana, poiché per il cristiano proclamare la Pace è annunciare Gesù Cristo (…).
– lo facciamo infine perché vorremmo che non mai Ci fosse rimproverato da Dio e dalla storia di aver taciuto …
Omelia 1° gennaio 1968 – 1a Giornata mondiale della pace
Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità!
All’assemblea dell’Onu – 4 0ttobre 1965
6° passo il dialogo
C’è un insegnamento straordinario di Paolo VI sul dialogo. Ci sono anche una chiarezza e una fermezza che mettono in guardia dal confondere il dialogo con il compromesso o con lo scambio di opinioni salottiere. Per il Papa il dialogo con il mondo, con la modernità si esprime in tre cerchi concentrici: un’immagine che oggi occorre riprendere per evitare che il dialogo si fermi alla formalità e si spenga la passione per la verità. Ci sono anche segni da ricordare tra i quali l’abbraccio al patriarca ortodosso Atenagora (1964 – Gerusalemme), il bacio al piede del metropolita ortodosso Melitone (1975) e l’incontro con il primate anglicano (Ramsey (1966). Nonostante i passi in avanti Paolo VI fu sempre cosciente che prima di giungere all’auspicata riconciliazione sul piano dottrinale, dogmatico e teologico restava ancora da compiere un lungo cammino.
Primo cerchio: tutto ciò che è umano
- Vi è un primo, immenso cerchio, di cui non riusciamo a vedere i confini; essi si confondono con l’orizzonte; cioè riguardano l’umanità in quanto tale, il mondo. Noi misuriamo la distanza che da noi lo tiene lontano; ma non lo sentiamo estraneo. Tutto ciò ch’è umano ci riguarda. (…) Dovunque è l’uomo in cerca di comprendere se stesso e il mondo, noi possiamo comunicare con lui; dovunque i consessi dei popoli si riuniscono per stabilire i diritti e i doveri dell’uomo, noi siamo onorati, quando ce lo consentono, di assiderci fra loro. Se esiste nell’uomo un’anima naturalmente cristiana, noi vogliamo onorarla della nostra stima e del nostro colloquio.
Secondo cerchio: i credenti in Dio
- Poi intorno a noi vediamo delinearsi un altro cerchio, immenso anche questo, ma da noi meno lontano: è quello degli uomini innanzi tutto che adorano il Dio unico e sommo, quale anche noi adoriamo; alludiamo ai figli, degni del nostro affettuoso rispetto, del popolo ebraico, fedeli alla religione che noi diciamo dell’Antico Testamento; e poi agli adoratori di Dio secondo la concezione della religione monoteistica, di quella musulmana specialmente, meritevoli di ammirazione per quanto nel loro culto di Dio vi è di vero e di buono; e poi ancora i seguaci delle grandi religioni afroasiatiche. Noi non possiamo evidentemente condividere queste varie espressioni religiose, né possiamo rimanere indifferenti, quasi che tutte, a loro modo, si equivalessero (…) per dovere di lealtà, noi dobbiamo manifestare la nostra persuasione essere unica la vera religione ed essere quella cristiana, e nutrire speranza che tale sia riconosciuta da tutti i cercatori e adoratori di Dio.
Terzo cerchio: i Cristiani Fratelli separati
- Ed ecco il cerchio, a Noi più vicino, del mondo che a Cristo s’intitola. In questo campo il dialogo, che ha assunto la qualifica di ecumenico, è già aperto; in alcuni settori è già in fase di iniziale e positivo svolgimento. (…)Ma ora che la Chiesa cattolica ha preso l’iniziativa di ricomporre l’unico ovile di Cristo, essa non cesserà di procedere con ogni pazienza e con ogni riguardo; non cesserà di mostrare come le prerogative, che tengono ancora da lei lontani i Fratelli separati, non sono frutto d’ambizione storica o di fantastica speculazione teologica, ma sono derivate dalla volontà di Cristo, e che esse, comprese nel loro vero significato, sono a beneficio di tutti, per l’unità comune, per la libertà comune, per la pienezza cristiana comune.
Lettera Enciclica “Ecclesiam suam” 6 agosto 1964
7° passo la gioia
Paolo VI è stato vittima di una comunicazione mediatica che lo ha raccontato come un uomo, triste, solitario, preoccupato, rattristato. Eppure è stato il papa che con la Gaudete in domini ha scritto una delle pagine più ricche sulla gioia cristiana.
Se non cogliamo questa gioia in papa Montini è difficile cogliere il senso profondo della sua vita di uomo tra gli uomini che si riassume in quelle lacrime di gioia di Blaise Pascal e di Charles Peguy che egli stesso cita.
Ci sarebbe anche bisogno di un paziente sforzo di educazione per imparare o imparare di nuovo a gustare semplicemente le molteplici gioie umane che il Creatore mette già sul nostro cammino: gioia esaltante dell’esistenza e della vita; gioia dell’amore casto e santificato; gioia pacificante della natura e del silenzio; gioia talvolta austera del lavoro accurato; gioia e soddisfazione del dovere compiuto; gioia trasparente della purezza, del servizio, della partecipazione; gioia esigente del sacrificio. Il cristiano potrà purificarle, completarle, sublimarle: non può disdegnarle. La gioia cristiana suppone un uomo capace di gioie naturali. Molto spesso partendo da queste, il Cristo ha annunciato il Regno di Dio.
Ma il tema della presente Esortazione va ancora oltre. Perché il problema ci appare soprattutto di ordine spirituale. È l’uomo, nella sua anima, che si trova sprovvisto nell’assumere le sofferenze e le miserie del nostro tempo. Esse lo opprimono quanto più gli sfugge il senso della vita; non è più sicuro di se stesso, della sua vocazione e del suo destino, che sono trascendenti.
Gaudete in Domino, 9 maggio 1975
8°passo il credo
A conclusione dell’anno della fede (1968) Paolo VI richiama il tema della professione di fede con parole di grande fermezza. Il papa riformatore che vuole una Chiesa in dialogo con la modernità ha le idee molto chiare.Egli sa che “il credo è tutto”, sa che in un tempo di turbamenti “il credo” è un insostituibile punto di riferimento per l’uomo che cerca la verità nel tempo dell’incertezza, del relativismo, della postverità. Il credo non è una formula, un adesivo da applicare alla vita, è cammino personale e nello stesso tempo comunitario in risposta al bisogno di luce e di infinito di ogni uomo. E’ è una lampada accesa nelle mani del mendicante della Verità.
Noi siamo coscienti dell’inquietudine, che agita alcuni ambienti moderni in relazione alla fede. Essi non si sottraggono all’influsso di un mondo in profonda trasformazione, nel quale un così gran numero di certezze sono messe in contestazione o in discussione. Vediamo anche dei cattolici che si lasciano prendere da una specie di passione per i cambiamenti e le novità. Senza dubbio la Chiesa ha costantemente il dovere di proseguire nello sforzo di approfondire e presentare, in modo sempre più confacente alle generazioni che si succedono, gli imperscrutabili misteri di Dio, fecondi per tutti di frutti di salvezza. Ma al tempo stesso, pur nell’adempimento dell’indispensabile dovere di indagine, è necessario avere la massima cura di non intaccare gli insegnamenti della dottrina cristiana. Perché ciò vorrebbe dire – come purtroppo oggi spesso avviene – un generale turbamento e perplessità in molte anime fedeli.
Noi abbiamo voluto che la Nostra professione di fede fosse sufficientemente completa ed esplicita, per rispondere in misura appropriata al bisogno di luce, sentito da così gran numero di anime fedeli come da tutti coloro che nel mondo, a qualunque famiglia spirituale appartengano, sono in cerca della Verità.
A conclusione dell’Anno della Fede – 30 giugno 1968
9° passo la prova
Le prove della sofferenza nella vita per Paolo VI sono sempre state compagne di strada. L’elenco delle sue “tribolazioni” – per quanto è stato possibile conoscere – è molto lungo. Tra queste anche la sofferenza provocata dalla ferita aperta da Lefevre. Un singolare percorso che aiuta a comprendere la risposta del Papa al dolore è la Via Crucis che egli volle vivere al Colosseo.
Alla fine della sua vita si trovò di fronte alla tragedia di Aldo Moro e degli uomini della scorta. Quelle sue parole sono rimaste scolpite nella mente non solo per l’immenso dolore ma anche per l’immensa fiducia in un Dio che, per molti assente e in silenzio, lui – Pietro – sentiva presente non come lo sconfitto dalla morte ma come il vincitore della vita.
E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo Uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla Fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita. Per lui, per lui.
Preghiera per Aldo Moro, 13 maggio 1978
10° la morte
Fare della propria morte un dono a qualcuno appare umanamente impossibile, appare una follia. Paolo VI volle che la sua morte fosse un dono alla Chiesa. A questa vetta dell’amore può giungere solo chi ha fatto di un dono ricevuto un dono offerto. La vita è il nome di questo dono che per primo Dio ha fatto – e continua a fare – all’uomo.
Prego pertanto il Signore che mi dia grazia di fare della mia prossima morte dono, d’amore alla Chiesa. Potrei dire che sempre l’ho amata; fu il suo amore che mi trasse fuori dal mio gretto e selvatico egoismo e mi avviò al suo servizio; e che per essa, non per altro, mi pare d’aver vissuto. Ma vorrei che la Chiesa lo sapesse; e che io avessi la forza di dirglielo, come una confidenza del cuore, che solo all’estremo momento della vita si ha il coraggio di fare.
Vorrei finalmente comprenderla tutta nella sua storia, nel suo disegno divino, nel suo destino finale, nella sua complessa, totale e unitaria composizione, nella sua umana e imperfetta consistenza, nelle sue sciagure e nelle sue sofferenze, nelle debolezze e nelle miserie di tanti suoi figli, nei suoi aspetti meno simpatici, e nel suo sforzo perenne di fedeltà, di amore, di perfezione e di carità. Corpo mistico di Cristo. Vorrei abbracciarla, salutarla, amarla, in ogni essere che la compone, in ogni Vescovo e sacerdote che l’assiste e la guida, in ogni anima che la vive e la illustra; benedirla. Anche perché non la lascio, non esco da lei, ma più e meglio, con essa mi unisco e mi confondo: la morte è un progresso nella comunione dei Santi
L’Osservatore Romano 1979
11° passo i laici
L’esperienza in famiglia, l’amicizia con gli uomini e le donne di pensiero del suo tempo, il respiro del Concilio con gli organismi ecclesiali di partecipazione, meglio di correponsabilità, gli incontri con i giovani, il dialogo con uomini e donne impegnati in politica … sono alcuni dei motivi che hanno sostanziato in Paolo VI una grande fiducia e anche grande attesa nei confronti dei laici. Da qui la creazione del Pontificio Consiglio dei Laici e la Pontificia Commissione “Iustitia et Pax” poi diventato Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Al centro del pensiero di Paolo VI è il laico apostolo, il laico che vive nel tempo con il respiro dell’eterno. Il laico che vive la vocazione politica come forma alta ed esigente di carità.
La Chiesa accetta di riconoscere il mondo come tale, libero cioè, autonomo, sovrano, in un certo senso, autosufficiente; non cerca di farne strumento per i suoi fini religiosi e tanto meno per una sua potenza d’ordine temporale; la Chiesa ammette anche per i suoi fedeli del Laicato cattolico, quando agiscono nel terreno della realtà temporale, una certa emancipazione, attribuisce loro una libertà d’azione e una loro propria responsabilità, accorda loro fiducia. Pio XII ha anche parlato d’una «legittima laicità dello Stato» (A.A.S., 1958, p. 220).
Il Concilio raccomanderà ai Pastori di riconoscere e promuovere «la dignità e la responsabilità dei Laici» (Lumen Gentium, n. 3i’), ma aggiungerà, proprio parlando dei Laici ed ai Laici che «la vocazione cristiana è per natura sua una vocazione all’apostolato» (Apost. actuos., n. 2) e mentre loro concede, anzi raccomanda di agire nel mondo profano con perfetta osservanza dei doveri a quello inerenti, li incarica di portarvi dentro tre cose (parliamo molto empiricamente); e cioè: l’ordine corrispondente ai valori naturali, propri del mondo profano (valori culturali, professionali, tecnici, politici, ecc.), l’onestà e la bravura, potremmo dire, la competenza e la dedizione, l’arte di sviluppare debitamente e realizzare quegli stessi valori.
Il Laico cattolico dovrebbe essere, anche a questo solo riguardo, un perfetto cittadino del mondo, un elemento positivo e costruttore, un uomo meritevole di stima e di fiducia, una persona amorosa della società e del suo Paese.
*presidente dell’Ac e della Cdal della diocesi di Como, giornalista