Ripensare al ruolo del sindacato per tornare ad essere vicini ai lavoratori

Ott 28, 2017 | 0 commenti

di Mario Uccellini *

In questo autunno che sembra né caldo né freddo dal punto di vista socio-sindacale, si segnala l’appuntamento di Cagliari con la 48^ Settimana Sociale dei cattolici.

Il lavoro è posto al centro della riflessione, nelle sue svariate accezioni: ovvio che si discuta anche del sindacato, soprattutto di ciò che dovrebbe essere in questo momento storico. Provo con umiltà a stendere alcuni miei punti di vista.

Dall’evidente crisi di rappresentatività del sindacato (e per correttezza dobbiamo dire anche degli altri corpi intermedi) e purtroppo dalla sua fortemente diminuita capacità di risposte in termini di tutela generale del lavoro protagonista nel Paese, io affermo che si esce soltanto accogliendo l’invito ripetuto fino all’ossessione da Papa Francesco quando incontra gli esponenti di governo della società: occorre ripartire dalle periferie, immedesimarsi quotidianamente con i bisogni delle persone.

Purtroppo oggi il sindacato vive una centralità organizzativa e politica che lo allontana dalla gente che lavora. Un po’ tutti, ma specialmente chi è occupato nelle piccole realtà, neppure conosce il volto del sindacalista. E come è possibile rappresentare le attese di chi neppure si conosce? Come mai nel settore della logistica, del facchinaggio o in altri professionalmente poco qualificati, oppure in quelle tipologie di rapporto di lavoro che esulano da quello a tempo indeterminato, il sindacato è pochissimo presente?

A mio parere, il sindacato dovrebbe riscoprire l’originaria mission, per la quale era nato, che vedeva il suo ruolo come difensore dei diritti e della dignità delle persone che lavorano. Il progresso sociale del Paese è coinciso con la massima adesione ad un sindacato presente in ogni luogo di lavoro. Un sindacato dotato di una capillare rete organizzativa che portava il dirigente a strettissimo contatto con i lavoratori nel territorio; in aggiunta, verso gli stessi lavoratori si nutriva l’ambizione di una meritoria azione educativa e culturale. Come non ricordare le splendide stagioni formative che hanno trasformato umili persone in capaci sindacalisti di base, e non solo? Come non ricordare la conquista contrattuale delle 150 ore, che consentì a migliaia di persone il titolo di studio almeno della scuola dell’obbligo, poi degli istituti superiori? Una stagione irripetibile!

Ed oggi? Quale ruolo per il sindacato? A mio parere, il primo contributo dovrebbe esattamente rivoluzionare l’attuale assetto del mercato del lavoro, ristabilendo la normalità. Non è accettabile la mancanza di lavoro per le giovani generazioni e contemporaneamente l’allungamento esagerato dell’accesso pensionistico. Chi è nel pieno della maturità fisica ed intellettiva deve poter lavorare, così come chi declina fisicamente deve poter accedere, magari almeno parzialmente, al riposo lavorativo. Le pur importanti compatibilità economiche non hanno titolo a precludere questo passaggio.

Il lavoro per i giovani non può essere precario, senza certezza di prospettiva e male remunerato. La costanza del rapporto di lavoro, unita ad un salario confacente, sono i due vincoli indissolubili per una società che davvero si proietta nel futuro. Ed allora bisogna contrastare le tipologie dei rapporti di lavoro che non assicurano certezze e minano la fiducia. La flessibilità è una esigenza: non può divenire una forma di schiavitù.

Molti ragazzi giovani faticano a trovare un’occupazione, si accontentano di tirocini, borse lavoro; oppure affidano le loro speranze alle agenzie interinali per occasioni di lavoro che durano poche settimane.  Vivono troppo lungamente un inserimento lavorativo penalizzante per gente che ha potenzialità enormi. Davvero una stagione politico-sociale che ridisegna il Paese mettendo al centro il lavoro attraverso declinazioni inedite e magari sperimentali è una indifferibile urgenza.

Al sindacato compete un coraggioso ruolo di innovazione sociale: trasformarsi da soggetto di tutela di chi ha un lavoro, a soggetto di promozione di un lavoro per tutti. Il percorso può rimettere in discussione alcune posizioni di lavoro e di pensione: se è un passaggio che accompagna l’allargamento della base occupazionale, ben venga!

Del resto, abbiamo fame di un sindacato protagonista del lavoro nella società. Poniamo fine al dato che novanta persone su cento utilizzano il sindacato solo per un servizio fiscale o previdenziale; torniamo a fare delle nostre sedi il luogo preminente delle questioni del lavoro.

* Segretario Generale della Ust Cisl di Cremona, Lodi e Mantova
e delegato diocesano alla Settimana Sociale

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