* di Severina Tansini
Responsabilità. Parola che “scotta”, impegnativa, perché strettamente correlata alla nostra libertà di scelta. I principali esponenti dell’esistenzialismo, da Kierkegaard a Sartre, passando per Heidegger, ne fanno un simbolo della singolarità e unicità di ogni uomo, segno della consapevolezza che la determinazione dell’esistenza umana dipende dalle modalità con cui si rende ragione a se stesso e agli altri delle scelte fatte e attuate.
Parola che proietta il singolo verso l’altro, l’individuo verso la collettività, il bene personale verso il bene comune, perché essere responsabili implica ne- cessariamente dover fare i conti con l’orizzonte altro da me, quello delle cose, ma soprattutto delle persone che sollecitano, richiamano il mio essere per natura persona in relazione. Vivere la responsabilità nella prospetti- va della fede mi porta a considerarla come sintesi di tre parole: dono, amore e cura.
“Siamo stati creati da Dio e non possia- mo essere e diventare noi stessi reci- dendo questo legame” (Progetto forma- tivo, pag. 56). La dimensione del dono è un’esperienza concreta e tangibile che sperimentiamo continuamente: la nostra vita, le persone intorno a noi, il Creato, la città, la comunità in cui viviamo ci sono date gratuitamente; possia- mo scegliere come rapportarci ad essi, ma sono lì, come un dato di fatto ine- quivocabile che va oltre noi stessi, a testimonianza di quell’eccedenza che accompagna il nostro stare nel mondo. Quando si riceve un regalo, oltre allo stupore e alla meraviglia che si prova, si fa esperienza di amore. La realtà donata nella quale siamo immersi corrisponde alla grammatica con la quale Dio ci introduce, ci accompagna, ci educa all’amore, sperimentandolo fin nella sua forma più alta, quello della gratuità totale e disinteressata. Impa- riamo ad amare noi stessi, gli altri, la realtà circostante, andando oltre il puro sentimentalismo, perché riconoscere l’amore come radice costitutiva del no- stro essere e di tutto il creato non si esaurisce in un’estatica contemplazio- ne, ma ci mette in movimento, ci solle- cita ad agire, a corrispondere alla chia- mata alla vita posta nelle nostre mani. Amare vuol dire accettare la responsabilità della cura, della custodia dei beni ricevuti, segno tangibile dell’amore che ci ha generati, perché desideriamo che esso diventi sempre più strumento di compimento e realizzazione piena di ogni creatura.
Decisione, discernimento e pazienza sono a mio avviso le caratteristiche che ci sono richieste oggi per un esercizio evangelico della responsabilità.
“Si viene alla vita senza deciderlo, ma non si diventa uomini senza deciderlo. Si continua a decidere, per tutta la vita, perché non si finisce mai di diventare uomini”. Questa affermazione del filosofo Petrosino sottolinea come la realizzazione della nostra umanità sia imprescindibile dalle nostre decisioni, da ciò che vorremo essere.
Dipende allora dalle nostre scelte, coltivare “l’impegno per la costruzione del bene comune e generare relazioni basate sulla fraternità e il rispetto reciproci”, come dice il Progetto formativo facendo appello alla responsabilità dei laici di Ac. Dalla consapevolezza del va- lore dei doni ricevuti, dipende da noi l’impegno quotidiano alla difesa e alla promozione di quei beni per tutti, necessari per la tutela della dignità di ciascuno, a partire, come ci ricorda il Papa nell’ultimo messaggio per la pace, dai poveri, i malati, gli emarginati, ogni nostro “prossimo, vicino o lontano nel tempo e nello spazio”.
Sappiamo però anche che “trovare strade laicali per l’annuncio del Vangelo che passino dentro le vicende e le si- tuazioni di questo tempo… che sappiano andare incontro, dare valore al dialo- go, attraversare la realtà di oggi e i suoi problemi” (Progetto formativo, pag. 49), richiede la fatica del discernimento e il coraggio della pazienza. Le nostre decisioni devono essere temprate dalla capacità dell’ascolto profondo dell’altro, dalla lettura realistica e sapiente del contesto che abitiamo, perché possano rispondere alle domande e alle esigenze dell’oggi. Nello stesso tempo dobbiamo educarci continuamente al senso del limite, sapendo che lo spazio del nostro agire deve necessariamente fare i conti con il rispetto della libertà altrui, con le imperfezioni e le contraddizioni del tempo storico che viviamo, ma anche con la creatività sorprendente dello Spirito che, sempre all’opera, ogni tanto ci chiede di seguirlo su strade inedite.