Aperite portas Redemptori

Aperite portas Redemptori

“Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!” queste parole pronunciate a gran voce da Giovanni Paolo II sono diventate il motto del giubileo straordinario del 1984, a cui ho partecipato, da adolescente; quelle giornate, che hanno preceduto la domenica delle Palme, sono state il primo incontro mondiale dei giovani, che hanno invaso Roma, divisi per gruppi linguistici, ad ascoltare le catechesi nella basilica di San Giovanni in Laterano, a pregare  in piazza San Pietro, a percorrere la Via Crucis al Colosseo, con la testimonianza di Madre Teresa. Un format che ha segnato le GMG successive. Un’esperienza che ha rivelato la sua forza nella quotidianità delle settimane, dei mesi, degli anni successivi: aprire la vita a Cristo è lasciarsi invadere dal Suo Amore che non permette di sentirsi a posto, di stare comodi in poltrona, di essere indifferenti alla voce di chi non ha voce, anzi è un Amore esigente, che scombina i piani, che ti sveglia dal torpore, che ti mette in movimento, che porta ad accompagnare cammini, ad ascoltare la vita e le esistenze di coloro che il Signore mette nel nostro cammino.

In occasione del centenario della nascita di San Giovanni Paolo II ho dedicato un po’ di tempo a riflettere e ripercorrere le occasioni di incontro con il pontefice che ha accompagnato la mia esistenza di bambina, quando è stato eletto e quando ha subito l’attentato, di adolescente, che gli ha stretto la mano in un’udienza in Sala Nervi, al termine di un convegno nazionale degli educatori ACR, di giovane che ha iniziato a leggere non solo i discorsi ma anche le encicliche, di madre che ha seguito la veglia della GMG a Tor Vergata dal divano di casa con un neonato tra le braccia, e che, quella sera del 2 aprile 2005, ha pregato con la famiglia e ha pianto quando le campane sono suonate a festa.

Quell’invito risuona anche oggi, dopo quasi tre mesi di chiusura nelle nostre case, non solo perché siano spalancate le porte delle nostre abitazioni, cosa che in questo momento non è ancora possibile, piuttosto perché continuino a rimanere spalancate le porte dei nostri cuori, per accogliere chi richiede la nostra attenzione, per donare il molto che abbiamo ricevuto, per ascoltare un problema e scoprirne insieme la soluzione, per avviare un’esperienza nuova, per prendersi a cuore una fragilità e, con l’incessante preghiera, trasformarla in risorsa, per rimanere nel Suo Amore, fedeli a Lui e all’umanità.

Nelle pagine centrali di questo numero di Dialogo abbiamo raccolto i cammini di alcune associazioni territoriali della prima Zona Rossa affinché questo passato prossimo sia ricordato, affinché proprio da qui si prosegua il cammino. Abbiamo voluto dedicare una pagina alla solidarietà fraterna come stile per abitare questo tempo, ciascuno con le sue possibilità, certi che dialogare, riflettere, camminare insieme significa moltiplicare opportunità, ricostruire la rete sociale delle nostre comunità in questo territorio lodigiano.

Scorrendo il calendario associativo, inserito nel testo della proposta, emergono, nel mese di maggio, due appuntamenti tanto cari: il pellegrinaggio mariano e la festa diocesana. Con la staffetta di preghiera per le vocazioni siamo andati tutti da Maria Santissima, portando le nostre suppliche e ricevendo la forza per ogni giornata; così anche domenica 24 maggio, avremmo voluto partecipare come associazione diocesana alla processione dell’Ausiliatrice, a conclusione della festa. Lo faremo a distanza, condividendo le immagini e i ricordi delle feste degli scorsi anni, ma anche con un momento di preghiera. Tutti segni di una vita associativa che è continuata in questi mesi, in presenza e a distanza, nei gesti di cura reciproca, con la preghiera, gli esercizi on line, la formazione on demand, gli incontri in Meet con i responsabili vicariali, i presidenti, le commissioni. La scorsa settimana la presidenza, che ha dato un di più di disponibilità nella responsabilità, ha incontrato il Vescovo Maurizio per un momento di condivisione e di ascolto, on line. Grazie al nostro Vescovo per l’attenzione, l’incoraggiamento, la stima e la Sua guida di pastore per la nostra diocesi e, in essa, per l’Azione Cattolica.

Facciamo nostra la dinamica trinitaria nell’immaginare un futuro per un’umanità di fratelli, capaci di camminare mano nella mano, sostenuti dall’abbraccio di Dio.

Rozzi Raffaella

Il mondo del presepe: un’umanità semplice che sa accogliere Gesù

Il mondo del presepe: un’umanità semplice che sa accogliere Gesù

* di Gualtiero Sigismondi

La colonna sonora dello stupore coinvolge tutti i personaggi del presepe. Gli angeli, che formano un vero e proprio “sciame”, sono i primi a contemplare il “cielo aperto” e a intonare il Gloria in excelsis Deo di fronte all’infrangibile fragilità del Bambino avvolto in fasce.

Tanto nel presepe siciliano quanto in quello partenopeo si incontra, adagiato da qualche parte, il pastore addormentato e, ritto da qualche altra parte, il pastore a bocca aperta, che guarda o indica la stella, sorpreso da una meraviglia incontenibile. Questi due personaggi sono, di fatto, uno solo, colto in due momenti diversi. Il sonno tranquillo del primo, meritato riposo notturno di chi ha lavorato tutto il giorno, e la meraviglia del secondo che riempie di bellezza la fatica quotidiana. Una meraviglia fatta di attenzione e attesa, due termini che hanno la stessa radice semantica e che contengono lo stesso invito a vegliare: l’invito più pressante dei Vangeli!

Il “pastorello della meraviglia”, l’Incantato, trova posto nella collina più alta; gli fa ombra la chioma di un albero mentre dorme con la testa poggiata sulla pietra, circondato da dodici pecorelle bianchissime; ha un sorriso beato che gli aleggia sul volto, perché sta sognando la nascita di Gesù Bambino. Il “pastorello della meraviglia” è sempre raffigurato come un fanciullo con le mani vuote, le braccia aperte e il viso radioso: non ha niente da portare, ma reca in dono lo stupore. La sua bocca e le sue mani rivelano proprio questo senso di meraviglia ingenua di fronte all’evento più straordinario. L’Incantato guarda con occhi nuovi un avvenimento che ha per protagonista Gesù Bambino, la sua infrangibile fragilità. Dio è fragile, debole, perché ama e l’amore rende vulnerabili. La sua onnipotenza è, per così dire, minata dal suo bisogno di amare l’essere umano e, dunque, dal suo esporsi al rischio di essere rifiutato.

Tra i personaggi del presepe della tradizione siciliana vi è anche Gennaietto. Si tratta di un vecchio pastore, il quale riscalda il suo corpo infreddolito al fuoco, che poi offre anche a Maria e Giuseppe, perché possano riscaldare il Bambino. Per quanta simpatia possano ispirare bue ed asino, non convince la versione idilliaca che affida al loro fiato il compito di riscaldare Gesù Bambino: più che un conforto sarebbe stato un supplizio. Era necessario il fuoco ed esso, nell’immaginazione popolare, è procurato da un vecchio pastore, provato dalla fatica e dal freddo, che porta il nome del primo mese dell’anno, il primo mese dell’era cristiana.

Fra i personaggi che affollano il presepe, oltre ai pastori, vi sono gli artigiani e i suonatori. Tra i primi si possono annoverare: fabbri, arrotini, lavandaie, portatrici di uova, acquaioli, carrettieri, venditori di frutta, facchini, osti e venditori di caldarroste, vasai, mugnai, tessitrici, filatrici, fornaie, ciabattini, falegnami, cenciaioli, pescatori. Tra i suonatori troviamo: flautisti, zampognari, cantastorie, giocolieri, danzatori. Questi personaggi non potevano certo essere attivi a Betlemme, ma è stato da subito chiaro, a chi inventava il mondo del presepe, che il luogo in cui Cristo si è fatto carne non poteva essere senza lavoro e senza musica.

Lasciando alla fantasia la libertà di “correre al galoppo”, è possibile immaginare che i diversi personaggi del presepe formano un’orchestra, che accompagna il canto degli angeli i quali, nella notte santa, hanno invitato i pastori a salire la “scala” della gioia, che ha diverse “note”: la felicità è gioia limpida, dà luce agli occhi; la letizia è gioia profonda, dà respiro all’anima; l’esultanza è gioia grande, dà voce alla lode; il gaudio è gioia vera, dà pace al cuore; il giubilo è gioia piena, dà la parola al silenzio della meraviglia. Come avviene in una sinfonia musicale, i silenzi costituiscono lo spazio di risonanza e l’occasione di pregnanza delle note e della melodia. Tutto il contesto è armonicamente guidato dal “grande organo” di Dio, armonia che tutto contiene ma nulla “possiede”, lasciando piena libertà melodica ai vari strumenti che idealmente ci piace così ipotizzare.

Lo strumento principale, il violino, a cui è affidato il tema musicale con il quale dialogano tutti gli altri, chi più e meglio della Madre di Dio, “chiave di sol” della “pienezza del tempo”, sarebbe in grado di suonarlo?

A Giuseppe potrebbero essere assegnati la viola o il violoncello, appartenenti alla famiglia degli archi, ma il suo silenzio, maturato attraverso l’esercizio dell’ascolto, opterebbe per la chitarra, che ha la vocazione di accompagnare.

I clarinetti e gli oboi, suoni che provengono dagli angeli, attraggono i pastori i quali, con zampogna e flauti, rinforzano l’armonia dolce e avvolgente di quella “placida notte” e, senza indugio, si recano fino a Betlemme.

Ai magi, “primizia dei popoli chiamati alla fede”, avendo scorto i “semi del Verbo” nei “segni dei tempi”, si potrebbe assegnare il tamburo per il viaggio di andata e i campanelli tubolari, dal suono ondeggiante e dolcissimo, quasi un congedo, per il loro ritorno.

La voce di Giovanni Battista, che non copre ma sostiene, preparando la via alla Parola, potrebbe far vibrare il flicorno contralto o il corno che, grazie al suo timbro, “lega” molto bene con gli altri suoni.

Avrebbero titolo di far parte dell’orchestra del presepe Elisabetta, con il cembalo, che inserisce nel Gloria la melodia mariana del Magnificat, e Zaccaria, con i timpani, strumento musicale che lo aiuta a vincere la sua sordità.

Anche Simeone e Anna, che hanno atteso Cristo, “luce delle genti e gloria d’Israele”, nell’orchestra del presepe potrebbero suonare, rispettivamente, la cetra e l’arpa, preludio dello squillo delle trombe dell’Alleluia pasquale.

Nella grande orchestra del presepe Gesù Bambino non è spettatore ma direttore, aiuta tutti a fare coro. Con la bacchetta del diapason dirige e, al tempo stesso, suona il triangolo, tenuto in mano da un angelo. Egli, Verbo del Padre, ha cercato un posto nel mondo e lo ha trovato in una mangiatoia: era l’unico posto libero, il solo posto vuoto. Disarmante semplicità: infrangibile fragilità.

* vescovo di Foligno e assistente generale dell’Azione cattolica italiana

Lutto

Lutto

Nella tarda mattinata di oggi, è salito alla Casa del Padre, S.E. Rev.ma Mons. Bassano Staffieri.

Per l’Azione Cattolica lodigiana, è sempre stato “don Nino”, da quando ha ricoperto l’incarico di assistente unitario dell’AC diocesana, dal 1973 al 1976. 
 
Ci uniamo nella preghiera, riconoscenti al Signore per don Nino, sia come assistente che come vicario generale della nostra diocesi, certi che l’AC ha avuto un posto speciale nel suo ministero presbiterale ed episcopale.
 
La comunità parrocchiale di Zorlesco si riunisce per un momento di preghiera giovedì 2 agosto, alle ore 21, mentre i funerali si svolgeranno nella Cattedrale di La Spezia, venerdì 3 agosto, alle ore 10.
 
Porgiamo sentite condoglianze ai nipoti Jole, Ester ed Efrem e a tutti i famigliari. 
 
La presidenza diocesana
Non c’è Chiesa senza Laici

Non c’è Chiesa senza Laici

di Silvia Landra

Può essere innovativa una realtà che compie 150 anni? La sua storia può darci alcuni elementi significativi per rispondere.

Dal 1867, quando l’embrione dell’Azione Cattolica Italiana prende le prime mosse ad opera di due giovani con il nome di Società della Gioventù Cattolica Italiana e con il motto “preghiera, azione, sacrificio”, si susseguono una miriade di vicende politiche e sociali così differenti tra loro da offrire spaccati diversissimi dell’AC, apparentemente divergenti.

 

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